ACCIAIO FRAGILE
Se abbiamo il diabete, la pressione alta, il mal di stomaco o di schiena andiamo dallo specialista e seguiamo senza indugi la cura che ci viene prescritta.
Queste patologie sono, per la maggior parte, oggettivamente visibili e socialmente accettate, nonché umanamente comprese.
Ma quando ad ammalarsi sono la nostra mente e la nostra anima lo stigma che persiste nella nostra società fa sì che la negazione e il rifiuto prendano il posto della consapevolezza e dell’accettazione.
Perché è così imbarazzante rivolgersi a uno psichiatra o a uno psicoterapeuta? Spesso chi afferma di avere questo tipo di sofferenza, ammesso che abbia il coraggio di dirlo a qualcuno, inizialmente si vede sottovalutare i sintomi dagli amici, dalla famiglia o dal gruppo di appartenenza e, non raramente, l’incoraggiamento si trasforma in risposte e atteggiamenti sminuenti.
«Cosa ti manca? Hai tutte le carte in regola per essere felice»
«Pensa a chi sta male davvero, cosa vuoi che sia un po’ di ansia?»
«Tirati su, devi farcela da solo»
«È una questione di volontà, datti una mossa!»
La cultura di una società performante e colpevolizzante trasforma le vittime del disagio e della malattia in artefici del proprio stato e lo star male è una sorta di colpa (e debolezza) dovuta alla propria responsabilità.
Così, per non incorrere nella perdita di prestigio e addirittura di credibilità, si cerca di dissimulare il proprio dolore e si continua la recita. Fino a quando è possibile.
Il mal d’anima rimane, purtroppo, imbrigliato in un vortice oscuro di silenzi e incomprensioni.
I protagonisti ritratti nelle foto sono persone che si sono rivolte allo psicoterapeuta, allo psicanalista o allo psichiatra e che ne hanno tratto dei benefici. Donne e uomini di età compresa tra i 24 e gli 85 anni che ci hanno “messo la faccia”, consapevoli che il loro messaggio positivo possa essere d’aiuto a chi sta soffrendo.